Cultura
L’eredità di Camilleri nel dono coraggioso dell’immaginazione
Il nostro ricordo di uno dei più grandi della letteratura italiana contemporanea
Me lo immagino a ripercorrere a piedi tutte le strade di Montalbano, a vedere di nuovo tutti i colori un secondo prima di vedere il nero eterno. Me lo immagino a ricordare “‘u scrusciu d’u mari” e così iniziare a intravedere quel paradiso evocativo, per lui, della “sicilianità visiva”, con accanto quel Montalbano “disoccupato, circondato da un placido volteggiare di anatre”. Me lo immagino, con la sua voce appena roca e caldamente graffiante, ad ammonirci per un’ultima volta: “non disilludetemi”. Così mi immagino l’ultimo Camilleri, come il primo: romantico e vigile; proprio come il suo immortale Montalbano.
Me lo immagino alle porte del regno dell’Ade col suo sorriso sornione, investigativo, enigmatico, a chiedere una scranna, una penna e sicuramente anche una sigaretta. A scrivere per sempre, senza più limiti. Eternamente. A scrivere di cosa? Questo non lo posso immaginare.
Forse della sua nipotina, forse del giorno del suo matrimonio, forse di questa preoccupante onda nera di odio e ignoranza che avanza. Non più di Montalbano, questo riesco ad immaginarlo. D’altronde come egli stesso ha ammesso, il finale di Montalbano è bello che scritto e chissà cosa ci riserverà. E ancora, me lo immagino sfoderare fieramente la sua tessera partigiana dell’ANPI per poi sventolarla dall’alto delle nuvole, come a voler salutare quei disgraziati come lui che in un mondo migliore ancora ci credono, ancora ci sperano e per il quale ancora resistono e lottano. Me lo immagino, proprio come era in vita, un convinto odiatore degli indifferenti, cioè un intellettuale: “[…] individuo che svolge attività lavorativa di tipo culturale o nella quale prevalenti sono la riflessione e l’elaborazione autonoma […]” (Enciclopedia Treccani). Me lo immagino accanto ad un altro Maestro: Ugo Gregoretti, da poco scomparso. Me lo immagino con lui a rimettere in scena quell’indimenticabile “Il Gatto e la Volpe”. Me lo immagino insieme a tutti i Maestri del passato, da Socrate a Eco, da Dante a Neruda, da Leopardi a De Mauro; in un convivio eterno fatto di domande, riflessioni e qualche consiglio. Ma soprattutto, me lo immagino guardarci dall’altro, urlarci un “Camilleri sono!” e redarguirci ancora, ancora e ancora.
Quando muore un Maestro (dal latino magĭster, der. di magis «più») il filo d’Arianna lasciatoci da egli tra le mani diviene uno scrigno, cessa di essere semplicemente un esemplare gomitolo di lana. Uno scrigno di insegnamenti cangianti. Già, cangianti. Perché quando muore un maestro i suoi insegnamenti non sono più solo insegnamenti, essi raggiungono il sacrosanto status di memorie. Memorie da rispettare, conservare, onorare, difendere, diffondere. Non perché giuste, ma perché vere, piene, pensate, scritte, donate. In un mondo in cui di vero ci è rimasta la menzogna, di pieno l’archivio storie di Instagram, di pensato solo il sistema, di scritto un insignificante mare di vanità, di donato residui di umanità dei bambini e di chi osa leggere ancora.
Me lo immagino, insisto e concludo. Me lo immagino perché solo nell’immaginazione, più che nel ricordo, ora riesco a consolarmi. Me lo immagino perché immaginare è la cosa più preziosa e importante che un Maestro possa insegnare. Il mondo si è evoluto grazie a chi ha avuto l’intelligenza di immaginare. Grazie a chi, con altre parole ed in altri tempi ha detto: “Non voglio morire male, non voglio avere il pessimismo, voglio morire con la speranza che i miei figli i miei nipoti i miei pronipoti vivano in un mondo di pace. Bisogna che i giovani si ribellino. Non disilludetemi”. Infine, me lo immagino anche per onorare al meglio quella caratteristica del suo unico stile. L’immaginazione. Allora me lo immagino immaginare: dare l’immagine ad un’idea, ad un pensiero, ad una sensazione, ad un presagio, ad un mistero, ad una speranza. Raccontare. Da lassù…
Immagino di non disilluderti. Immagino un gran finale.
Addio Maestro. Grazie per averci lasciato ad immaginare!