Cronaca
Camici bianchi, in “trincea” contro il Covid-19: ricordiamoci di loro quando tutto sarà finito
Sacrificano le proprie famiglie e lavorano fino allo sfinimento delle proprie forze pur di salvare più vite umane, consapevoli che questo maledetto virus difficilmente li risparmierà e in alcuni casi se li porterà via, come agnelli sacrificali
In corsia con pochi dispositivi di protezione eppure sempre sul campo e in prima linea con i loro camici bianchi. In quei corridoi della speranza c’è l’amore, la pazienza, l’altruismo di chi, una volta indossato il camice, non pensa più a se stesso, ma si prende carico del dolore di tanti malati e sa regalare un sorriso a chi ne ha bisogno, coraggio a chi ha paura; familiarità a chi è solo.
Sono medici, infermieri, tecnici, operatori socio-sanitari e addetti che operano negli ospedali. Portano sul volto l’impronta della mascherina, così stretta da lasciare segni rossi che non vanno via. Negli occhi la stanchezza di chi sta dando tutto per vincere questa guerra. Sono quelli che oggi idolatriamo (e giustamente) come eroi, ma che fino a ieri erano una delle nostre valvole di sfogo preferite, perché se la sanità stava andando a rotoli era certamente colpa loro, non di decenni di malapolitica!
Era colpa loro se operavano con strumentazioni da dopoguerra in ospedali da dopoguerra. Era colpa loro la malasanità, perché “in Italia non funziona niente”; era colpa loro se ogni giorno in una città c’è un’ambulanza in meno o se ogni giorno chiudevano qualche reparto in qualche ospedale d’Italia. A tutti quei medici, infermieri, tecnici, operatori socio sanitari e addetti che operano negli ospedali, dobbiamo chiedere scusa prima di chiamarli eroi; e se non li abbiamo mai offesi dobbiamo chiedergli scusa per tutte le volte che non abbiamo fatto nostre le loro lotte, inconsapevoli che ogni lotta per la sanità e una lotta di tutti e per tutti.
Sacrificano le proprie famiglie e lavorano fino allo sfinimento delle proprie forze pur di salvare più vite umane, consapevoli che questo maledetto virus difficilmente li risparmierà e in alcuni casi se li porterà via, come agnelli sacrificali. In queste settimane tanti medici e infermieri sono morti in “trincea”, mai inconsapevoli del rischio, ma coraggiosi fino ad un attimo prima di lasciarci.
Molti di loro hanno anche vinto ed il loro sorriso si riflette ancora in quei pazienti che sono riusciti a guarire e battere questo virus spietato. Ma ciò che ci tormenta e ci indebolisce ogni giorno di più è la conta degli sconfitti, è il bollettino dei morti e per quanto i sorrisi possano essere contagiosi, i pugni al cuore sono assolutamente letali. Ed i pugni non risparmiano nessuno, nemmeno i nostri eroi.
Certo, è un lavoro, sono pagati, prendono uno stipendio. Ma quando dalle tue decisioni e dalle tue mani dipende l’esistenza degli altri, non contano più i soldi, non conta più lo stipendio, non conta più nulla, il lavoro diventa una missione, a volte il tuo solo senso di vivere.
Anche in questo momento così difficile in molti continuano a non avere rispetto di queste persone coraggiose. Mentre molti medici e infermieri perdono la vita, perché sfidano il virus per curarci, c’è ancora troppa gente in giro perché convinta che il problema sia sempre da un’altra parte. Tutti noi abbiamo un solo compito ed è quello di rispettare le regole, di svuotare strade, piazze, parchi e negozi per impedire a questo maledetto virus di continuare a propagarsi.
Ora siamo tutti uniti ad applaudire, esporre striscioni, a dire grazie e chiamarli eroi; ma dimentichiamo che parliamo di professionisti che per anni sono stati umiliati e delusi da tante persone senza rispetto e da una politica che ha sempre visto la sanità come un qualcosa di “sacrificabile” da poter ridimensionare a oltranza, tagliando sempre più posti letto per trovare fondi e coprire buchi lasciati dall’incapacità di chi ha promesso e non ha mantenuto.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Italia ha dimezzato i posti letto per i casi acuti e la terapia intensiva, passati da 575 ogni 100 mila abitanti ai 275 attuali. Un taglio operato progressivamente dal 1997 al 2015, che ci porta in fondo alla classifica europea. Numeri non degni di un grande paese come il nostro e che fanno tanto male.
E i pazienti più arrabbiati, per i tempi di attesa e per i guasti a cui la stessa politica non provvede, se la prendono con gli stessi che ora ci affanniamo ad applaudire in questa emergenza. Poi chi oggi li esalta e li ringrazia, presto li dimenticherà, e questo sarà per loro un altro grande dolore. Perché quelli con il camice bianco in trincea ci stanno tutti i giorni e non solo per combattere il coronavirus. Gli uomini e le donne che si stanno sacrificando per tutti noi sono gli stessi che vengono da anni di umiliazioni, di botte e di insulti. Esistenze accartocciate nel sacrificio. Nottate intere tra i malati con la solita aria rassicurante che dice a chi soffre: io sono qui, non ti abbandono, la tua battaglia è la mia battaglia.
Ecco perché siamo chiamati a non banalizzarli come eroi di un momento ma a considerarli uomini e donne che fanno la differenza ogni giorno. Già, proprio così, basterebbe iniziare a considerarli uomini e donne, non più camici sacrificabili, tagliabili, ridimensionabili. Uomini e donne di cui vantarsi in un paese di cui andare fieri; non più eroi di un momento in un paese che è rimasto fermo a ieri.