Attualità
Coronavirus e misure restrittive: il difficile bilanciamento tra salute e diritti fondamentali
Si può affermare che la tutela della salute viene posta più in alto dei diritti costituzionalmente garantiti? Ecco cosa dice l’articolo 16 della Costituzione, con uno sguardo ai Dpcm
La mega esplosione del contagio del Covid-19 in Italia, che dal 24 febbraio ha provocato circa 100.000 contagiati e circa 15.000 decessi, ha comportato la necessità di una normativa emergenziale, della quale fanno parte vari decreti ministeriali del Ministero della Salute, la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, che dichiarava, per la durata di mesi sei, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza del virus.
Diritti costituzionalmente garantiti, cosa dice l’articolo 16
Seguivano una carrellata di Dpcm (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), che davano applicazione concreta alla legge. Questi ultimi si sono succeduti in un arco temporale brevissimo, conseguenza del progressivo e rapido estendersi del contagio su tutto il territorio nazionale.
Con il decreto del 10 marzo le misure restrittive già applicate sono state rese ancora più stringenti, imponendo la chiusura di bar, ristoranti e ogni altra attività di ristorazione, nonché la chiusura degli esercizi commerciali, ad eccezione di quelli destinati ai consumi essenziali per l’alimentazione, la cura della persona, le attività professionali e il diritto all’informazione (le edicole, per intenderci). Venivano, inoltre, imposte restrizioni drastiche alla circolazione sia motorizzata che pedonale, con la previsione delle sanzioni previste dall’articolo 650 del Codice penale.
Già da una lettura prima facie dei provvedimenti citati è facile intuire come buona parte di essi incide su alcuni diritti costituzionalmente garantiti, comprimendone alcuni e annullandone altri in favore del diritto alla salute, tanto da aver fatto dubitare della loro compatibilità costituzionale.
In particolare, l’articolo 16 della Costituzione stabilisce che «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale». Il diritto di libera circolazione e soggiorno è limitato, con riserva di legge, per motivi di sanità e sicurezza. Ebbene, a tal proposito le disposizioni governative hanno vincolato la possibilità di circolazione a pochissime comprovate esigenze (approvvigionamento di viveri, lavoro, ecc), nel caso di spostamenti da comune a comune e, addirittura all’interno dello stesso comune. Nel secondo comma dell’articolo 16 sopra citato, inoltre, è prevista la libertà di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrare, salvo gli obblighi di legge; anche questa è stata vietata.
In sostanza, questa normativa emergenziale ha mirato a ridurre la socialità, socialità che è una componente essenziale del modus vivendi, soprattutto a livello giovanile. Oltre alle limitazioni di tipo circolatorio, ve ne sono altre che non sono da sottovalutare.
La chiusura di scuole di ogni ordine e grado e delle Università, comprese le biblioteche, limita l’accesso allo studio e ad istituzioni culturali e di ricerca; con la chiusura di cinema, teatri, mostre d’arte, scuole di ballo, si riduce lo spazio ad attività al tempo stesso culturali e ricreative; con la chiusura di palestre, piscine, impianti sportivi, si sopprime l’accesso ad attività sportive molto spesso essenziali per la salute.
La nostra legislazione ha da sempre previsto e prevede tuttora misure restrittive, di isolamento e di controllo, per malattie anche gravi (oggi in gran parte debellate) come vaiolo, colera, malattie sessualmente trasmissibili (in passato sifilide, oggi Aids), trattamenti sanitari obbligatori in psichiatria, per finire con le vaccinazioni obbligatorie. Tutte misure che hanno “invaso” diritti di rilevanza costituzionale.
In questi, casi, tuttavia, queste limitazioni hanno sempre coinvolto solo i soggetti colpiti da queste patologie e non certo il resto della collettività. Questa volta è diverso, un caso unico nella storia sanitaria italiana, infatti per la prima volta le misure di tutela riguardano tutto il territorio nazionale e tutta la popolazione italiana.
I DPCM costituzionali o incostituzionali?
Molti hanno lamentato la costituzionalità dei Dpcm (decreti del presidente del consiglio dei ministri), ritenendoli un “abuso” rispetto alla reale necessità di tutelare il diritto alla salute o comunque ritenendoli un po’ troppo incisivi per il contrasto dell’emergenza Covid-19 essendo sufficiente tenere delle misure comportamentali adeguate per arginare il contagio da Coronavirus.
A tal proposito è necessario specificare che l’art. 32 della Costituzione prevede il diritto alla salute, ma non l’obbligo alla salute. Infatti viene lasciata ampia autodeterminazione in materia di consumo di alcool, di tabacco, di droga persino, di abitudini di vita dissennate, autolesioniste (la vita di clochard, ad esempio) ecc.
Dalla lettera della norma si potrebbe ipotizzare una incostituzionalità dei Dpcm, ma andando un attimo aldilà della lettera della norma bisogna considerare che “la salute collettiva” deve essere posta un gradino più in alto rispetto al diritto di autodeterminarsi, perché il danno cagionato o subìto alla propria salute non deve produrre danno alla salute degli altri.
È proprio da questo che possiamo ritenere la costituzionalità dei Dpcm o comunque quanto meno la legittimità a dover contrastare, tutelando il bene di tutti, questa Pandemia senza precedenti, poiché la tutela della salute collettiva è esigenza prevalente sull’esercizio di diritti costituzionali.
Si può affermare che la tutela della salute viene posta più in alto dei diritti costituzionalmente garantiti?
È così e così deve essere. La salute, infatti, non è sinonimo di assenza di malattia, ma di benessere psico-fisico generale ed è proprio questo connubio a consentire al cittadino di esercitare appieno la libertà di movimento, di socializzare, di svolgere attività sportive, ricreative.
La salute è alla base della cittadinanza attiva, attraverso il lavoro in tutte le sue declinazioni, la piena partecipazione alla vita sociale, culturale e politica del Paese. Da tale premessa ne dovrebbe scaturire la necessità di un Sistema sanitario efficiente, pubblico e gratuito.
La storia ci ricorda che il sistema nazionale sanitario sia nato senza falle, ma si è progressivamente degradato per i tagli ai finanziamenti, disordini e abusi amministrativi, fenomeni corruttivi, riduzione delle strutture e del personale sanitario.
Bisogna prendere lezione da questa calamità sanitaria per promuovere investimenti in vista dell’impegno che la nostra sanità dovrà svolgere sin da adesso e in futuro. Eventi di questo genere potrebbero divenire periodici e occorre essere pronti per affrontarli adeguatamente e non dover correre ai ripari, insomma prevenire è meglio che curare.