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‘A Livella, le più belle frasi tratte dalla poesia di Totò dedicata ai defunti
Il capolavoro di Antonio De Curtis assume una grande importanza per i napoletani e per i campani nella giornata del 2 novembre: ecco alcune delle parti più belle da ricordare
‘A Livella, poesia immortale di Antonio De Curtis, meglio conosciuto come Totò, rappresenta uno dei capolavori più emblematici della letteratura napoletana. Con ironia profonda e una visione lucida dell’esistenza, Totò riflette sulla vita e sulla morte, mostrando come quest’ultima diventi la grande livellatrice delle differenze sociali. L’attore, comico e poeta riesce a trasmettere con semplicità e saggezza un messaggio universale: nella morte, tutti gli esseri umani sono uguali. Un vero capolavoro, ‘A Livella, di cui vi riportiamo alcune frasi.
L’importanza di questa poesia per la cultura napoletana del 2 novembre
Il due novembre, giorno della commemorazione dei defunti, ‘A Livella assume un significato profondo per la cultura napoletana. Le famiglie si recano al cimitero per onorare i propri cari, e la poesia di Totò diventa un manifesto di riflessione sulla fugacità della vita e sulla certezza della morte. Il dialetto, usato magistralmente, è un ponte verso la tradizione e l’identità di un popolo capace di esprimere emozioni complesse. Totò riesce, attraverso la sua poesia, a far divertire e al contempo a indurre a pensare, esprimendo una consapevolezza matura e serena della vita e della morte.
Frasi da ‘A Livella di Totò: le più belle e significative
Le parti più belle e significative di questa poesia: alcune frasi tratte da ‘A Livella di Totò.
- Il messaggio di uguaglianza della morte:
“Muorto si’ tu e muorto so’ pur’io, / ognuno comme a n’ato è tale e qquale.”
Questa frase racchiude il tema centrale della poesia: la morte rende tutti uguali, indipendentemente dal rango sociale o dalla ricchezza.
- Il confronto tra il Marchese e Don Gennaro:
“Da voi vorrei saper, vile carogna, / con quale ardire e come avete osato / di farvi seppellir, per mia vergogna, / accanto a me che sono un blasonato?!”
Questa parte mette in evidenza l’arroganza del Marchese, che si considera superiore anche nell’aldilà, sottolineando il contrasto tra le classi sociali.
- La risposta ironica e pragmatica di Don Gennaro:
“Signor Marchese, nun è colpa mia, / jie nun v’avesse fatto chistu tuorto; / mia moglie è stata a ffa’ ‘sta fessarìa, / jie che putevo fa’ si ero muorto?”
Don Gennaro, con semplicità e ironia, dimostra come le divisioni sociali siano futili nella morte, aggiungendo un tono umoristico ma riflessivo alla scena.
- Il concetto di livella:
“‘A morte ‘o ssaje ched’è? E’ ‘na livella: / ‘nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo, / trasenno ‘stu canciello ha fatt’o punto / c’ha perzo tutto, ‘a vita e pur’o nomme.”
La metafora della livella rappresenta l’idea potente che la morte è l’unico grande livellatore che azzera ogni differenza.
- La conclusione morale di Don Gennaro:
“Perciò, stamme a ssentì, nun fa’ ‘o restivo, / suppuorteme vicino, che te ‘mporta? / ‘Sti ppagliacciate ‘e ffanno sul’e vive: / nuje simme serje… appartenimmo a morte!”
Questa chiusura è una lezione di vita sulla vanità dei conflitti umani e sull’importanza di comprendere la morte come un destino comune.
Queste parti esprimono il messaggio profondo della poesia: la morte è l’unica condizione che ci rende tutti uguali, eliminando ogni distinzione sociale o materiale.