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Agnese Moro e l’ex Br Adriana Faranda: gli incontri possibili sulla scia del dialogo
A Sant’Agata de’ Goti un momento di grande riflessione tra Agnese Moro e Adriana Faranda. Il dibattito è stato moderato da padre Bertagna
È la giustizia della parola e del dialogo a superare, limiti permettendo, ogni forma di male per poter empaticamente ripartire. Il che non vuol dire dimenticare. Un po’ il senso dell’importante ed intenso incontro, svoltosi nella Concattedrale di Sant’Agata de’ Goti, in provincia di Benevento, tra Agnese Moro e Adriana Faranda.
Agnese Moro e Adriana Faranda: moderatore padre Guido Bertagna
La figlia dello statista ucciso quarant’anni fa in via Fani e l’ex componente delle Brigate Rosse sono state le ospiti di un’iniziativa nell’ambito 1a Giornata Regionale Commissione Giustizia e Pace della Cec, organizzata dal Settore Regionale Pastorale Sociale e il Lavoro, Giustizia e Pace, Custodia del Creato.
Tantissimi cittadini, amministratori comunali e Vescovi campani presenti a questo appuntamento della cosiddetta ‘giustizia riparativa’, cioè quel percorso di mediazione per vivere diversamente il male fatto o subìto. In questo caso è stato padre Guido Bertagna, moderatore della serata, a promuovere e a credere nel faccia a faccia tra vittime e responsabili della lotta armata degli anni Settanta.
Il giornalista Michele Palmieri, ad inizio incontro, ha dato la parola per i saluti al sindaco di Sant’Agata de’Goti Carmine Valentino e a Mons. Giovanni Scalise, vescovo di Caserta. A far incontrare ‘vittime’ e ‘carnefici’, come dicevamo, è stato proprio il sacerdote gesuita che si è impegnato per far rincontrare da una parte le vittime e dall’altra parte coloro che si erano resi responsabili di fatti di sangue.
Il prelato ha raccontato della nascita di questo gruppo venuto alla luce circa 10 anni fa: “un vero itinerario di giustizia ed un cammino possibile, volontario. L’obiettivo – ha detto – è quello di riaprire pagine di dolore, con il tentativo di catturare la pluralità delle memorie e rivisitare le proprie storie muovendosi da quella specie di irrigidimento automatico”.
Agnese Moro e Adriana Faranda: il dialogo tra le due
È il 1978, gli anni di piombo, gli ‘anni bui’ della nostra Repubblica. Agnese Moro aveva 25 anni quando provò la sofferenza dell’uccisione di suo padre Aldo, presidente della Democrazia Cristiana, ad opera dei gruppi armati di estrema sinistra.
È chiara nella sua esposizione: “Oltre al dolore per la perdita della persona a me più cara, si accostò un dolore non meno doloroso, legato al modo in cui le autorità competenti trattarono il caso”.
Sottolinea in seguito le certezze che possedeva nell’affrontare un periodo cosi duro della sua vita, nel mentre sopportava “la grande disumanità detta e scritta”. Odio, rabbia e delusione si fanno spazio tra le emozioni provate da Agnese, che neanche un “processo possono alleviare, dato che la giustizia penale non ti fa stare meglio”.
L’amara consapevolezza del rimorso di quei drammatici momenti del rapimento, in quei 55 giorni: “Avrei potuto far di più per far uscire mio padre da quella situazione”. La narrazione si fa sempre più intensa e raggiunge le alte vette quando parla della “dittatura del passato”, quel rivivere costantemente quegli avvenimenti terribili. Poi la decisa conclusione: “sono allergica alla parola ‘perdono’, ma è la voglia di dire che quel male si deve fermare. ‘Basta’ è la parolina magica che mi ha fatto spezzare la catena del male”. “Ci si ascolta soltanto se ci si disarma, dai pregiudizi e dalle certezze”. Applausi a tutto spiano.
A seguire il turno di colei che è stata arrestata, giudicata e condannata. La Faranda ha brevemente ripercorso le fasi che l’hanno portata a partecipare a questo cammino spirituale, di confronto ed ascolto. “Le nostre risposte ai parenti delle vittime erano insufficienti rispetto all’enormità delle loro domande”. Ha ammesso le sue responsabilità per quelle azioni che ai suoi occhi di oggi definisce “abominevoli ed orrende”.
Il peso di quelle azioni che si ripercuotono nel legame rotto con la comunità di appartenenza. Un altro problema. Si è confessata a cuore aperto: “Con l’uccisione di Aldo Moro ho visto il volto della violenza estrema, l’ho guardata in faccia. Avrei potuto fare di più per evitarlo? Forse sì”. Più avanti una riflessione sulla pena carceraria: “La vera giustizia deve servire a ricostruire le relazioni interrotte: si tende alla giustizia, non si raggiunge”.
Agnese Moro e Adriana Faranda: “L’ascolto è la prima condizione per provocare un cambiamento“
Nella parte finale del dialogo spazio alle domande e considerazioni del pubblico, tra cui diversi esponenti della lotta al crimine e parenti delle vittime di mafia. Le conclusioni sono state affidate al Vescovo della Diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti, mons. Domenico Battaglia, il quale ha dato una sua lettura della serata.
Si è trattato, in fondo, di un incontro tutto umano tra due donne segnate per sempre, su sponde opposte per ricomporre il puzzle della pace e del rapporto umano.
“L’ascolto è la prima condizione per provocare un cambiamento. Sia Agnese sia Adriana hanno molto ascoltato, l’una per perdonare l’altra per essere perdonata”. Don Bertagna