Attualità
Coronavirus e tracking: il bilanciamento tra diritto alla salute e diritto alla riservatezza
Contatti e spostamenti potrebbero essere monitorati attraverso software di geolocalizzazione. Ma è davvero un’ipotesi percorribile?
La tragica emergenza scatenata dal Covid-19 ha cambiato radicalmente le nostre abitudini sociali. Le misure di contenimento previste per limitare il contagio da Coronavirus e per tutelare la salute e la sicurezza nazionale, hanno limitato inevitabilmente alcune libertà fondamentali sancite e tutelate dalle Costituzioni nazionali, in primis il diritto alla riservatezza dei cittadini. Ma fino a che punto siamo disposti a rinunciare alla nostra privacy? Cosa succederà quando l’emergenza sarà passata?
Coronavirus, il tracking di contatti e spostamenti attraverso software di geolocalizzazione
Molti governi nazionali, al fine di combattere la diffusione del virus, stanno pensando di raccogliere i nostri dati personali attraverso strumenti di geolocalizzazione (GPS, Wi-Fi, Bluetooth, codici Q).
Tale sistema consentirebbe di ricostruire a ritroso i posti frequentati e le persone incontrante, in modo da avere una vera e propria mappa del contagio. Ciò significa che numerosi soggetti, pubblici e privati, saranno autorizzati a raccogliere ed analizzare milioni di dati relativi alla sfera personale dei cittadini, (spostamenti, temperatura corporea, abitudini, preferenze, comportamenti, etc.), che costituiscono la nostra identità digitale, e quindi la nostra identità personale.
Con queste misure, ci sentiremo più liberi di uscire di casa e di costruire le nostre relazioni sociali, senza il timore di essere costantemente monitorati? Fino a che punto è ragionevole comprimere le libertà personali dell’individuo per proteggere la salute pubblica attraverso tali strumenti tecnologici?
Non vi può e non vi deve essere un’alternativa tra privacy personale e salute nazionale, soprattutto se consideriamo che i dati raccolti non sarebbero utili solo ai fini di tutela della salute pubblica. Infatti, i dati raccolti potrebbero essere utilizzati anche per l’organizzazione delle forze di polizia che vigilano sul rispetto delle regole, in modo da dislocarle lì dove vi è maggiore necessità, o ancora per fini commerciali, sulla base delle preferenze che tali dati rilevano.
Pertanto, anche se il tracking dei cittadini è uno strumento di evidente utilità per frenare la diffusione, il criterio di utilizzo di tali strumenti non può essere unico, generale ed astratto. La raccolta e l’analisi dei dati deve essere valutata a seconda della necessità, della gradualità, della proporzionalità, e della pertinenza.
È davvero possibile limitare in questo modo il diritto alla riservatezza dei cittadini?
Il nostro ordinamento consente, in casi di necessità ed urgenza, di limitare i diritti fondamentali dell’individuo, come il diritto alla riservatezza, al fine di tutelare interessi più importanti. La Costituzione, infatti, pone al primo posto il diritto alla vita, che diventa una priorità logica, oltre che giuridica, rispetto alla tutela degli altri diritti.
Tuttavia, giustifica la compressione di altri diritti e libertà fondamentali solo per il tempo necessario e nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. Il bilanciamento richiesto dalla nostra Costituzione, dunque, non può essere svolto a priori, ma deve svolgersi di volta in volta, in base alle concrete esigenze.
A prescindere dalla soluzione adottata, l’utilizzo di tali tecnologie di tracking non potrà prescindere dal consenso libero e volontario del cittadino. Inoltre, l’adesione della popolazione, dovrà essere consapevole, e preceduta da un’adeguata campagna di sensibilizzazione, da parte delle autorità governative, sull’opportunità di utilizzare i suddetti strumenti.
Non possiamo consentire che le scelte di oggi, si ripercuotano in futuro sul sistema economico, sulle forme di democrazia e sui rapporti sociali e civili di ognuno di noi.