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Educare attraverso il mezzo videoludico: Padre Joystick, Playmont e il concerto di Ana Mena

Viaggio nel mondo di Don Patrizio Coppola, rivoluzionario uomo di chiesa e di cultura, che riesce a far coesistere il mondo della religione e quello della videoludica. Con una star internazionale sullo sfondo

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Padre Joystick

È quasi sera, il caldo di maggio ha ormai preso il sopravvento nelle nostre giornate. Ci avviciniamo alla sede della IUDAV con tanta curiosità verso le idee di un vero visionario del nostro tempo. Un uomo rivoluzionario, capace di accostare due mondi apparentemente distanti anni luce come la religione e i videogiochi, con una tale semplicità da far sembrare immediato il collegamento. Don Patrizio Coppola, per tutti Padre Joystick, ci accoglie nel suo ufficio al termine di una giornata di lavoro, tra sacerdozio e tanti progetti dedicati all’educazione dei più giovani attraverso il mezzo videoludico.

Padre Joystick: “Il soprannome? Lo porto con me dal 2014”

Prima di tutto, una nostra curiosità da soddisfare: come è nato il soprannome di Padre Joystick?

“È stato il settimanale Panorama! Nel momento in cui hanno conosciuto qualcosa in più di questo prete che si occupa di videogiochi per ragazzini, il soprannome è venuto spontaneo. Poi, la domanda me la sono fatta pure io…’ma come mai Padre Joystick’?”.

Intanto, è qualcosa che è rimasto…

“È rimasto, dal 2014 me lo porto con me. Lì per lì non ci ho dato neanche molto peso, però poi ho capito che per i ragazzi identificarmi con questo soprannome era più efficace”.Aule IUDAV

Da lì è iniziata un’associazione di idee mica male.

“L’idea della scuola partì con Playmont, con il Festival dedicato ai cartoni animati e ai videogiochi addirittura risalente al 2006. Dopo cinque o sei edizioni mi sono fermato, nel 2012. Quest’anno ho ripreso questo progetto. E l’idea dell’università nasce proprio dalle esigenze delle aziende che producono videogiochi di assumere dei ragazzi formati, preparati, facendoli entrare nel mondo del lavoro dalla porta principale. Da Playmont, dunque, nasce un progetto più ambizioso come quello dell’università”.

L’accademia del videogioco: “Dà possibilità di trovare un posto nel mondo del lavoro”

Questa attività pionieristica ha consentito lo sviluppo di un’accademia di prestigio. Ma quali sono le opportunità per chi sceglie di frequentarla?

Futuro gioco da ragazzi

“Dipende dal ragazzo, innanzitutto: si deve venire qui perché si ha voglia di imparare. Prendere solo un titolo accademico, per il futuro, non ha senso, e non permette al discente di entrare nei parametri per cui ‘il futuro è un gioco da ragazzi’. Io sono sempre più convinto che se il ragazzo entra a pieno titolo nelle materie ha il futuro assicurato nel mondo del lavoro”.

In cui c’è bisogno di professionisti altamente competenti.

“Queste professioni mancano, in un contesto che può sembrare solo ludico, ma in cui c’è tanto altro: parliamo di programmare un videogioco, di fare il game designer, di dare una struttura a un prodotto da mettere nel mercato. E il mercato è arrivato a 2 miliardi di euro. Tutto questo dà la possibilità di trovare un posto nel mondo del lavoro. Sempre considerando che il videogioco è soprattutto uno strumento educativo”.

Don Patrizio Coppola: “Manca una cultura del videogioco nelle famiglie”

Il futuro, d’altronde, parte da lontano, dal presente e dal passato. Il progetto mira a portare una cultura videoludica nelle scuole. Quanto è importante avvicinarsi a questo mondo per la crescita e lo sviluppo della persona?

“Sono sempre più convinto che questo strumento non vada demonizzato. Ma è tutta la struttura che non va demonizzata: è uno strumento essenziale di inclusione sociale. Un momento in cui i ragazzi che giocano imparano l’inglese. Come mio nipote, per esempio”.

Tanta cattiva informazione. Perché la risonanza della cultura videoludica non è stata massima in Italia, come dovrebbe essere?

IUDAV Accademia

“Il vero problema è che non c’è cultura nelle famiglie. Bisognerebbe fare ai genitori un corso di educazione. Probabilmente si cambierebbe anche idea. Insisto sulla demonizzazione: più viene proibito il videogioco dalle famiglie, più fa rumore. Il proibito attrae di più. Io sono convinto che in questo caso non ci sia niente di proibito. Basta saperli usare come strumento per rilassarsi”.

Anche lei lo fa?

“Io gioco. Non solo a Fifa, anche a GTA, e a tanti altri videogiochi che possono sembrare violenti, ma non lo sono. È il rapporto che hai coi videogiochi, sapendo che lì sei in un mondo tutto particolare. Se entri in quest’ottica, probabilmente servono anche a mettere insieme delle culture diverse”.

Diversamente, la Chiesa, in questo senso, viene vista come vera istituzione. Lei in passato ha parlato di ‘catechismo dei videogiochi’.

“Sono sempre più convinto che dobbiamo parlare il linguaggio dei ragazzi. La Chiesa deve calarsi nel loro mondo: il telefonino, la PlayStation, l’Xbox, la Nintendo. Loro vanno al catechismo, e la prima cosa che pensano è ‘quando finisce’?. Immagina, invece, se fai imparare loro la dottrina attraverso un videogioco. Immagina quante volte il ragazzino non vedrebbe l’ora di andare al catechismo per giocare insieme agli amici e apprendere”.

Frase Padre Joystick

Ma perché la scuola, invece, non parla la lingua dei ragazzi?

“Perché non c’è cultura. Non c’è cultura del videogioco, non c’è cultura dei ragazzi. Li vogliamo imbottire di nozioni, senza sapere che probabilmente attraverso i nuovi mezzi di comunicazione sanno qualcosa in più degli insegnanti”.

I nuovi media sono importanti, ma lo sono anche quelli tradizionali. Che valenza ha per questo progetto la presenza a un programma sportivo come Tiki Taka?

“Si parla di calcio, mi hanno invitato perché mi hanno visto in altre trasmissioni. Piero (Chiambretti, ndr) ha sostenuto che io fossi un prete eclettico, fuori dagli schemi. Essendo lui un grande personaggio pubblico e una persona straordinaria, per cui non trovo aggettivi, ha pensato che questo prete un po’ folle potesse trasformare, insieme a lui, il calcio in varietà”.

Il concerto di Ana Mena nell’ambito del Festival Playmont: una star internazionale a Paestum

Focus sul prossimo evento del 2 giugno. Playmont ritorna prepotentemente in auge, e lo fa accompagnandosi a una guest star di livello internazionale come Ana Mena.

“Il prossimo evento del 2 giugno nasce dalla mia idea di riprendere ‘in mano’ questo Playmont, un Festival a me molto caro. Per farlo tornare in voga, ho dovuto chiamare qualche amico che mi desse la possibilità di portare a Paestum qualche grande nome. Ana Mena credo sia un’ospite perfetta. E allora, dalle 10 alle 19 abbiamo tutto aperto, con ingresso libero. I ragazzi potranno divertirsi come vogliono, anche giocando tra loro ai videogiochi: verrà allestita un’area totem, con PlayStation, Xbox, calciobalilla, flipper e altri giochi, a cui potranno accedere tutti gratuitamente”.

Dopodiché, la premiazione e il concerto.

“Dalle 21.30 premieremo le scuole che hanno partecipato al progetto, insieme ai ragazzi che qui all’accademia hanno realizzato un videogioco, e i migliori progetti degli studenti che hanno partecipato. Dalle 22.30, Ana Mena ci allieterà con la sua voce”.

Locandina di Playmont e Ana Mena

Siamo pronti, insomma!

“Sarà possibile scoprire il mondo del Game e Cartoon Experience nell’ex Tabacchificio, insieme agli studenti del liceo Galilei di Piedimonte Matese, dell’Iiss Vanvitelli di Lioni, del Convitto Nazionale Torquato Tasso di Salerno e dell’istituto tecnico Buonarroti di Caserta. Nel corso della giornata verrà illustrato ai ragazzi come fare a creare un videogioco. Una dimostrazione e un modo per farli avvicinare alla cultura videoludica grazie al supporto di esperti dalla comprovata esperienza nel settore”.

La follia è madre della conoscenza. Dove la porterà?

“In questo momento sto pensando ai progetti che possano dare un futuro ai ragazzi che frequentano questa accademia. Essendo un sacerdote, penso di riuscire a introdurre un linguaggio nuovo nella Chiesa. 

Qual è l’augurio che farebbe a un ragazzo oggi?

“Di pensare al suo futuro. Non solo sui libri, ma anche e soprattutto sulle nuove tecnologie, che possono dargli un futuro migliore, e consentirgli di entrare in nuovi mondi. Se avessi avuto le tecnologie che hanno loro, probabilmente staremmo a parlare di altro”.

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Nato a Nocera Inferiore il 10 febbraio 1994, è fotoreporter e giornalista nel settore dell'informazione sportiva. Laureato con lode in Scienze della Comunicazione nel 2016 presso l'Università degli Studi di Salerno, e nel 2018 in Corporate Communication e Media nello stesso ateneo. Passionale, creativo, amante della comunicazione face-to-face, è da sempre patito di calcio, del quale è affascinato in ogni sua sfaccettatura. Ha praticato la pallacanestro a livello agonistico per diversi anni. Tra i suoi hobby non si possono tralasciare la musica, la fotografia e la cucina.

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