Cronaca
Ninetta mia crepare di Maggio ci vuole tanto, troppo coraggio
Il 9 maggio non sarà mai un giorno come gli altri. Ricorre una doppia triste ricorrenza: la morte di Moro e di Impastato
Così cantava Fabrizio De André nel 1968, dieci anni prima della morte di Aldo Moro e Peppino Impastato, entrambi tolti alla vita in quel buio 9 Maggio 1978, nel bel mezzo di quei terribili anni di Piombo. Ironia della sorte ha voluto che il cantautore ligure, cantasse, involontariamente e con un decennio di anticipo, il coraggio, il tanto e forse troppo coraggio, di due uomini accomunati dal medesimo obiettivo: sradicare la criminalità organizzata, lottare per la giustizia sociale, difendere la luce della verità dal buio della menzogna e della cattiveria. Due vite che non si incontrarono mai, se non per consegnarsi alla morte insieme, per lo stesso motivo, con lo stesso sogno…
Cento passi per Peppino e circa dieci chilometri per Aldo Moro, queste le distanze tristemente divenute famose. Cento i passi che occorreva fare a Cinisi, per colmare la distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti. Circa dieci chilometri intercorrono, a Roma, tra Via Mario Fani, dove fu rapito Moro, e Via Caetani dove fu ritrovato senza vita.
Ancora oggi, dopo 40 anni, pronunciare quelle strade e quelle distanze mette tristezza, malinconia e rabbia, tanta rabbia. Una rabbia incontenibile soprattutto perché a distanza di decenni queste due vicende, legate dallo stesso destino, sono ancora avvolte da un velo, pietosissimo, di mistero.
La prima storia, quella relativa al sequestro e all’uccisione di Aldo Moro, ha spesso offuscato la seconda per rilievo mediatico. Non è un caso che nel film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana, un caro amico di Peppino, Salvo Vitale sfogherà la sua rabbia riferendosi proprio alla fatiscenza mediatica del caso Impastato:
“Domani stampa e televisione si occuperanno di un caso molto importante. Il ritrovamento a Roma dell’onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle brigate rosse. E questa è una notizia che naturalmente fa impallidire tutto il resto. Per cui chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia? Ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato? “
Tuttavia, col tempo e soprattutto grazie a contributi come documentari, foto e film le due realtà sono state ampiamente trattate. D’altronde non si può non cogliere il triste parallelo tra le due storie, testimonianze della stesso problema: l’incapacità dello Stato di incidere in certe situazioni e peggio ancora il coinvolgimento e la complicità dello Stato in tali vicende.
Nell’immaginario, Aldo Moro è testimone della “cronaca di una morte annunciata” con l’avallo di uno stato nascostosi dietro la farsa del pugno duro contro i terroristi. “Cronaca di una morte annunciata” anche per Peppino, ucciso barbaramente per aver detto, scritto, urlato e sbeffeggiato la “schifosa” realtà della sua terra e per aver smascherato la comoda convinzione che non si può cambiare la Sicilia e che la mafia non esiste. Un caso in cui lo Stato, a conoscenza dei rischi che il giovane si stava addossando, ha lasciato che la questione si risolvesse da sé, nel peggiore dei modi possibili.
Cosa resta delle due vicende oltre all’infinita rabbia? Il coraggio e cento passi ancora da compiere…