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Revenge porn: quando è reato, cosa dice la legge, cosa può fare la vittima
Quando il sexting, ossia lo scambio di contenuti hot attraverso dispositivi come smartphone o computer, si trasforma in un reato, per cui la persona offesa può proporre querela nel termine di sei mesi
Per sexting si intende la pratica, molto diffusa grazie all’avvento dei social, di scambiarsi contenuti hot attraverso smartphone e computer. Il sexting si basa sulla liberà volontà delle parti di scambiarsi messaggi dal contenuto particolare, e non costituisce di per sé un illecito. Tuttavia, nel momento in cui il contenuto sessualmente esplicito viene divulgato a terzi senza il consenso di chi è ritratto, scatta il reato di revenge porn.
Revenge porn, cosa dice il codice penale al riguardo?
Il c.d. “Codice Rosso” (legge n. 69/2019), ha introdotto l’art. 612-ter c.p. in materia di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, (cd. “revenge porn”). La norma tutela la libertà di autodeterminazione dell’individuo, il decoro, la reputazione e il diritto alla riservatezza in relazione alla vita sessuale.
L’art. 612-ter c.p., che prevede la pena della reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5000 a euro 15000, punisce chi ha realizzato o sottratto immagini/video sessualmente espliciti altrui, che erano destinati a rimanere privati, diffondendoli senza il consenso della persona interessata. Inoltre, la stessa pena si applica a chi, dopo aver comunque ricevuto il materiale, lo diffonde senza consenso della persona raffigurata al fine di recare danno alla stessa.
Sono previsti degli aumenti di pena, se il fatto è commesso ai danni dell’ex partner, donna incinta o persona più fragile dal punto di vista psicologico/fisico, invece se il materiale pornografico riguarda minori di anni 18, ai sensi dell’art. 600 ter c.p., è prevista una pena detentiva fino a 12 anni.
Revenge porn, cosa può fare la vittima per tutelarsi?
La persona offesa può proporre querela nel termine di sei mesi. Il delitto di revenge porn infatti non è procedibile d’ufficio, cioè senza la volontà della vittima, a meno che quest’ultima non sia in condizione di inferiorità fisica o psichica, o si tratti di donna in stato di gravidanza, nonché quando il fatto è commesso insieme ad altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.